Ora è chiaro… il lupo nel fuoco
Un canto funebre rumeno, recitato ancora nei primi del ‘900, dice:
“Il lupo apparirà davanti a te. Prendilo come tuo fratello, perché il lupo conosce l’ordine delle foreste. Egli ti condurrà per via piana verso il paradiso…”.
La visione del lupo come psicopompo, cioè guida verso l’aldilà, è antica quanto le origini dell’uomo; lo testimoniano anche i ritrovamenti di urne cinerarie a foggia cinocefala, attribuite alla culture indo-europee. Una visione molto diversa da come oggi la nostra cultura considera il lupo: come siamo giunti ad un tale cambiamento e cosa ha indotto l’uomo a considerare l’animale da compagno a minaccia da sterminare? I più recenti studi etologici ci consegnano l’immagine di una animale mite, monogamo, sollecito con la prole, dotato di comportamenti sociali e non aggressivo nei confronti dell’uomo. Una creatura, tutto sommato, piuttosto diversa dall’immagine leggendaria di malvagio e sanguinario predatore che l’uomo gli ha cucito addosso nei secoli; Piuttosto è facile distinguere delle assonanze tra lupi ed umani tanto che si perde nella notte dei tempi l’usanza di tenere come compagno, sorvegliante di greggi o compagno di caccia il lupo nella sua più diffusa “trasformazione” in cane.
L’uomo primitivo migrò col lupo durante le glaciazioni, dall’America del Nord, all’Eurasia, accompagnando le stirpi indo-arie nella loro diffusione nell’Europa e nel sub-continente indiano. Nell’allora sistema sociale di tipo nomade (cacciatori – raccoglitori) il lupo era un competitore che, nella medesima nicchia ecologica, perseguiva le stesse prede; ma era più abile, perché più veloce, dotato di sensi più acuti, con un’invidiabile visione notturna e “armato” dalla natura con zanne ed artigli. L’uomo, pur rivaleggiando con lui, lo venerava quale mirabile esempio di predatore, dal quale carpire tattiche ed astuzie. Il cacciatore, per eccellere nel suo intento, doveva perciò ingraziarsene lo spirito che, nelle culture sciamaniche, avveniva per via emulativa; vale a dire facendosi “colmare” dall’essenza della bestia sino ad assumerne il comportamento, l’aspetto e persino i poteri. Questo fu, con ogni probabilità, il primo esempio di “licantropia”: ovvero la capacità umana di trasformarsi (col sussistere di certe condizioni) nel proprio animale totemico, nel nostro caso il lupo. Questa trasformazione avveniva (e continuerà ad avvenire, come vedremo, almeno sino al X secolo) tramite rituali estatici che prevedevano l’emulazione delle movenze ferine e l’assunzione di specifiche sostanze (funghi sacri, piuttosto che alcol o bevande a base di erbe); indossando la pelle dell’animale se ne assumeva l’aspetto e le movenze, grazie all’ingestione della “sostanza sacra” se ne acquisiva la spiritualità, la forza ed il coraggio. Ora lo sciamano era la divinità-lupo che guidava danze propiziatorie piuttosto che la caccia stessa, come sembrano dimostrare alcune pitture rupestri.
Agli albori dell’Età del Bronzo la maggioranza delle stirpi adottava ormai uno schema sociale di tipo stanziale, basato su: agricoltura, caccia ed artigianato, con culti femminili e “lunari”, incentrati sui riti di fertilità e scanditi dalle lunazioni che scandivano una vita sociale basata su ritmi stagionali tipici della forma societaria stanziale. L’incontro tra queste numerose realtà con le popolazioni nomadi, il cui culto virile si basava su immagini solari e sciamaniche, diede luogo ad un’affascinante fusione di culture alla cui base stanno i numerosi “miti degli inizi” che vedono il lupo quale protagonista. Febo e Artemide (rispettivamente legati a Sole e Luna) che vennero partoriti da Latona, trasformata in lupa. I Sabini stessi si proclamavano “figli del lupo” ed è per questo, forse, che ad una lupa venne affidata la protezione ed il sostentamento dei divini gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. Ancora più a Sud lo stesso Osiride, dopo lo smembramento del suo corpo ad opera del malvagio fratello, rinasce sotto forma di canide. Infine anche nella cultura mongola il Lupo Celeste è progenitore di eroi, l’ultimo dei quali fu il noto Gengis Khan.
Notiamo che l’antica sovrapposizione tra i culti della caccia e quelli della fertilità investono, un po’ in tutte le culture, il lupo come animale propiziatore delle fecondazioni. Cito, a tal proposito, i lupercali dell’antica Roma dove i seguaci del Dio Luperco (attorno a metà febbraio) percorrevano seminudi le vie dell’urbe percuotendo le donne in età fertile con corregge di pelle, rievocando così gli albori della fondazione della Città trasfigurati nell’evidente rituale di fecondità e rinascita praticato.
Il lupo tuttavia non si limitò ad incarnare i miti di nascita e fecondità, già ai primordi dell’età del ferro le culture guerriere norrene e mitteleuropee consideravano il lupo (e suoi totemici parenti, quali l’orso ed il cane) come modelli di coraggio e possanza: simboli di una casta guerriera d’elité. Riassumendo le varie fonti giunte sino a noi (la maggior parte tardive e contaminate dalla fede cattolica dei redattori) siamo in grado di tracciare un profilo plausibile di quello che poteva essere un ulfhednar (guerriero-lupo) o un Berserkr (guerriero-orso) e la loro evoluzione nell’ambito dell’europa.
Già Tacito (nella sua opera “Germania” ) ci riferisce di feroci guerrieri (gli Arii) con scudi neri, dal corpo nudo e tinto che prediligono gli scontri notturni, facendo così eco ad una tradizione guerresca che affonda profonde radici nella mitologia nordica. Lo stesso Odino è forte del suo manipolo di sacri guerrieri che lo affiancano nella Valhalla e che spesso vengono associati agli ulfhednar e Berserkr. Nella società guerriera germano-scandinava questa elite militare combatteva in reparti di altissimo prestigio, organizzati in caste militari fortemente gerarchizzate e legate alla divinità cui erano consacrate, godendo così di un’aura di potente sacralità, rispetto e terrore. Ispirati dalle remote, e già citate, pratiche sciamaniche dei loro antenati essi incarnavano l’essenza dell’animale lupo (o orso), la ferocia, l’astuzia ed il temibile aspetto. Questi uomini erano soggetti ad iniziazioni sacerdotali condotte con l’assunzione di sostanze alcoliche e psicotrope (funghi, erbe, idromele o birra) e rituali di tipo estatico, durante i quali il guerriero cadeva in uno stato di trance di tipo sciamanico. Non possiamo escludere che una delle prove da sostenere fosse la caccia e l’uccisione dell’animale che, con l’assunzione delle carni e del sangue, entrava letteralmente nel corpo del guerriero elargendogli le tanto ambite qualità. Questa gente vestiva pelli di lupo, portava lacci di cuoio alle gambe e rumorosi anelli metallici, mordeva gli scudi e “ululava” durante le battaglie per atterrire oltremodo il nemico.
Impossibile a questo punto trascurare la progressiva trasformazione della figura del lupo in un elemento temibile, a tratti inquietanti e comunque legato ad un’azione violenta (quella guerriera, appunto).
Del resto simile metamorfosi avviene anche presso il Monte Liceo, in Arcadia, presso il quale si compivano riti di antropofagia in onore dell’animale. Qui è lo stesso Giove ad “intervenire” e condannare lo stesso Licaone (capo spirituale di tale culto) alla dannazione, folgorandone la reggia e tramutando lo stesso re in lupo. Già dall’evo antico quindi la figura lupesca assume connotazioni chiaramente minacciose ed esecrabili dove il regno dei morti è sorvegliato da Cerbero (lupo a tre teste) e Ade, sovrano degli inferi, indossa una pelle di lupo che gli dona l’invisibilità. Anche presso gli Etruschi il Re dell’oltretomba (Ajita) indossa il medesimo pellame e, presso i Celti, il lupo è carnivoro funebre e lo si rappresenta seduto sui posteriori nell’atto di divorare un uomo.
L’evoluzione culturale rende scomoda e pericolosa la vecchia immagine lupesca alla quale si compivano sacrifici propiziatori, trasformandoli, a poco a poco, in gesti di scongiuro: non si prega più perché il Grande Predatore interceda ma perché sia lontano. Ed anche lo Sciamano, che assumeva in se lo spirito della tribù, si trasforma in creatura esecrabile, gettando le fondamenta per il futuro stregone dedito a culti infernali.
Certamente le invasioni delle genti nordiche con i loro guerrieri-lupo contribuì a rafforzare e consolidare il rapporto tra le tradizioni scaimaniche-pagane ed il demonio del nuovo culto cristiano; demonio che la chiesa cattolica combatté con campagne di evangelizzazione cruenta proprio nel seno di quelle popolazioni norrene che ben lo rappresentavano. Così la figura dell’ulfhednar perde l’aura di orrore sacrale per assumere il nuovo carattere di maledizione diabolica, entrando così in pieno nella casistica della stregoneria.
Nell’Europa cinquecentesca la figura dell’Uomo-Lupo era ormai inesorabilmente legata con quella dello stregone schiavo del demonio; giunge così alla parabola più bassa il mito del lupo: trasformato da Spirito tutelare e guida delle Anime a demone da evocare quale trastullo di Satana o per soddisfare la sete di sangue grazie al camuffamento animalesco.
E sarà in questo status, in cui il sacro ha dato luogo al bestiale, che prenderanno vita le innumerevoli leggende, racconti e fiabe legate al Lupo Mannaro ed alle sue trasmutazioni nelle notti di plenilunio.
Con buona pace dell’Inquisizione la figura del Lupo Mannaro ha la sua massima diffusione in Europa tra il quattrocento e seicento; in questi anni infatti assistiamo ad una vera e propria epidemia di licantropismo al quale vengono attribuite tutte le caratteristiche ed i sintomi utili all’identificazione ed allo sterminio di tale razza satanica. Diviene licantropo chi nasce in occasione di festività cristiane importanti (perché il suo venire in un tempo sacro è vista una profanazione), ma anche dormire a volto scoperto sotto la luna non lascia scampo alla trasformazione. Più spesso si diventa Lupi Mannari per intercessione diretta del Diavolo, che così da origine ad un manipolo di schiavi per il Sabba scegliendoli, ovviamente, tra persone dalla condotta esecrabile. E poi ancora la persona suscettibile di trasformazione era riconoscibile da alcune peculiarità: corpo eccezionalmente peloso, occhi iniettati di sangue, dentatura ferina e comportamento irascibile. E potremo continuare per molto con miti e leggende create dall’ignoranza popolare e dall’astuzia del braccio inquisitorio.
Dopo secoli e secoli di ininterrotta persecuzione il lupo oggi sopravvive a stento in poche aree protette, costantemente monitorate contro la stupidità e nefandezza dell’animo umano. Un lupo che negli ultimi anni pare incrementare a fatica il proprio numero di esemplari, quasi volendo dimostrare che, nonostante le crudeltà e l’immagine temibile attribuitagli, lui ancora c’è. Pronto a riassumere il ruolo che gli spetta: compagno, guida, amico e coraggioso aiutante.
Nelle foreste torneranno gli occhi brillanti dei lupi ed i loro ululati accoglieranno pleniluni più luminosi che mai… pronti, ancora una volta, a guidarci in un modo nel quale continuiamo a comportarci come ospiti disinteressati piuttosto che come figli devoti.